Pensavo in questi giorni agli articoli che compaiono sui social e che ci ricordano del male del corpo in questo periodo di pandemia, e questo parlarne ci rimanda ad uno stupore. Stupore di cosa? Nonostante siamo nel 2021 il corpo fatica ancora ad essere pensato come il depositario delle emozioni, il corpo spesso viene ancora pensato come la tomba dell’anima e come oggetto che riporta ad un terreno faticoso e poco accettabile.
Il corpo nella pandemia è stato padrone delle nostre giornate, riempito di cibo come sedativo dell’ansia legata al futuro, movimento e attività fisica quasi consolatoria come modo per eliminare le caloriedi quel cibo che ci appariva come rassicurante mezzo di unione familiare e poi quelle immagini di distorsioni del corpo in cui il pensiero è legato alla difficoltà di tornare a mostrarlo distorto e quasi irriconoscibile.
E ora ci stupiamo che quel dolore tenuto celato e mascherato dal pensiero magico andrà tutto bene non debba fuoriuscire come un’esplosione incontrollata ed incontrollabile?
Parliamo di dolore della mente come se il dolore fosse originato dal pensiero e continuiamo a vivere in quella dicotomia in cui il corpo staccato dalla mente non parla e non racconta il proprio dolore ma ne viene solamente attraversato.
Il corpo vissuto non viene interrogato, ma solo usato come mezzo per raccontare una storia sterile e senza legami con il dolore della paura e della cronicità che il susseguirsi dei mesi ci sta facendo sperimentare.
Ma forse come per altri dolori che il corpo ascolta il percorso da sperimentare è proprio quello di ascoltare quel linguaggio senza parole, fatto di gesti, di sguardi e di sorrisi solo immaginate sotto la mascherina, di reinventare il nostro vocabolario di corpo per ritrovare l’altro da noi in un gioco di distanze e vicinanze, di tempi e di sensazioni che vanno profondamente sentiti nella danza della relazione
Stefania Lanaro