Guardarsi, osservarsi vedersi, si usano gli occhi sicuramente, ma quali occhi?
Lo specchio rimanda quelle forme e quei confini che ipoteticamente riconosciamo come nostri, ma lo sguardo e i nostri occhi vedono altro.
La pelle segna i confini del volto, i suoi limiti spaziali e si adagia sulla parete ossea, segna gli avvallamenti e le protuberanze, si copre di peli nei punti che necessitano di protezione e ombreggia, crea interruzioni più o meno marcate.
Ci sono le aperture definite e “stabili” narici e orecchie e aperture “instabili” che per loro funzione si aprono e si chiudono, ritmicamente in autonomia o a seconda del bisogno e del desiderio, occhi che si aprono e palpebre che chiudono alla vista, bocca che racconta e bocca che si chiude, bocca che prende e che rifiuta.
Il volto come racconto della propria storia segnato dal tempo e dai tempi propri e della cultura, espressione del viaggio nel proprio mondo, ma superficie di incontro con l’altro e il suo mondo.
Gli occhi dello sguardo incontrano gli altri occhi e gli altri sguardi e si interrogano sui significati, l’altro mi osserva, mi scruta, mi interroga, mi pervade, mi invade; significati che vanno oltre il chiasma ottico e che da questo non possono essere definiti.
Guardare adocchiare, ammirare, avvistare, considerare, contemplare, esaminare, guatare, mirare, sbirciare, squadrare, fissare lo sguardo, osservare attentamente, rivolgere lo sguardo, adocchiare, intravvedere, notare, osservare, (con gli occhi) percepire, scorgere, questi alcuni dei sinonimi dei due verbi più utilizzati, vedere e e guardare ma il mezzo che permette queste azioni è unico, l’occhio, cosa differenzia allora? Sguardo per avere informazioni, per capire, per imparare, lo sguardo è una funzione senza “libertà” perché spesso non è vedere ma assorbire il mondo per sentirlo.
Guardare è utilizzare lo sguardo della propria storia personale, culturale, sociale, il vedere perde il suo essere una semplice azione automatica se inserito nella relazione spazio – temporale con il mondo e diventa un atto personale intimo, perde oggettività per poter essere un approccio soggettivo all’altro da sé.
Guardarsi e osservarsi diventano momenti di relazione con la propria storia, con gli sguardi che abbiamo ricevuto, con i messaggi che hanno toccato la nostra pelle, con le parole che ci hanno toccato e con le mancanze e le distanze che abbiamo osservato, occhi che ci hanno sfiorato e occhi che ci hanno invaso, sguardi che ci hanno permesso di sentirci e occhi che ci hanno reso invisibili.
Quello sguardo che si guarda nello specchio diventa un sentire dentro, un cercare di bilanciare gli occhi con la propria storia, un momento difficile che incrocia il giudizio con la clemenza e l’accettazione.
Stefania Lanaro
un particolare ringraziamento ad Alessandro Gimelli, fotografo, educatore, professionista sensibile e amico per essere riuscito fotografarmi facendomi sorridere!!!