Certe volte le donne hanno molta fame.
Aprono il frigorifero e vorrebbero ingoiare tutto quello che c’è dentro.
Entrano in una pasticceria e vorrebbero ingurgitare ogni cosa, fino a scoppiare. Mangiano la cioccolata e vorrebbero non smettere mai. Mangiano i biscotti e ne finiscono due pacchi. Mangiano le patatine e vanno avanti fino a star male.
C’è una bocca affamata dentro di loro: grida per essere riempita, scalpita come una bestia selvaggia per ricevere ciò che vuole: cibo! cibo! cibo!
Ma il cibo è solo l’involucro di quello che la bocca affamata pretende. Dietro quella voglia famelica c’è di più: c’è la voglia di qualcosa che faccia sentire vive. È la donna che arde di fame di se stessa, pallida della sua passione, a digiuno della sua anima.
Le donne affamate spesso non seguono la loro vera natura: hanno smesso di cantare, hanno intrappolato le loro parole da qualche parte, hanno appoggiato la penna, hanno scelto di essere “troppo in ordine”, “troppo carine”, “troppo compiacenti”, “troppo perfette”, “troppo simpatiche”, “troppo disponibili”.
Sono lontane dalla loro vita profonda, passionale, nutriente, rigenerante: svalutano il proprio lavoro, dicono a se stesse che sono sbagliate perché non hanno fatto abbastanza, si autoimpongono di stare zitte, si sentono in colpa se non sono disponibili per tutti. Mettono sotto sale i loro desideri, fanno conserve con i loro sogni, ripongono in frigorifero necessità personali con l’etichetta «più avanti». C’è chi arrotola la passione stringendo un laccio attorno, chi scrive la parola “rassegnazione” sul muro della camera, chi appoggiato la penna sul tavolo e non la riprende in mano, chi getta la tela e poi giura a denti stretti di guardare sempre dall’altra parte.
Spesso queste donne hanno la sensazione di essere “immobilizzate” e in questo immobilismo si costringono a non andare, a non fare un passo, a non pretendere, a non diventare, a non scoprire. La loro vita è “una bocca vuota” e il cibo diventa la metafora di un nutrimento che non arriva da un’altra parte. Ma non è una situazione irreversibile.
È semplicemente necessario “un risveglio”.
Bisogna avvicinarsi all’anima, che giace da qualche parte con le ossa spezzate, e ricomporla.
Come fare?
Chiedendo a noi stesse cosa davvero desideriamo. Non è così difficile come sembra. Nel momento in cui ci chiniamo pietose sulla nostra anima esangue e ferita lei si rianima. Le basta poco. Un po’ di ascolto, una riflessione vera, una risposta sincera: rivolta a noi. Le donne sanno molto bene cosa vogliono, quando se lo chiedono con voce sincera. Conoscono il motivo di quella bocca affamata, di quelle mani tese per ricevere altro cibo. Quando risvegliamo la nostra anima lei non parla in modo criptato: ci dice a chiare lettere quale direzione prendere. È un’amica sicura, fidata, compassionevole, stimolante… lei ha le risposte che cerchiamo… e allora, come per magia, quella bocca affamata si chiude e dentro di noi nasce una nuova forza, la voglia di vivere davvero la nostra vita…
Simona Oberhammer
Fonte: La Via Femminile
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